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Macchina per fare acquerelli è un visore: una tecnologia che interagisce con la "chimica dell'intelletto" per creare relazioni, storie, visioni e ponti. Interfacciata tra spettatore e rovine della realtà, unisce, crea collegamenti, salda e “ripara con l’oro” come nel kintsugi, qualsiasi frattura, anche, immaginaria tra passato e presente, memoria e futuro.

Framed in the context of "Filling the absence" with artworks of Yona Friedman and Peter Fend curated by Andrea Canziani and Emanuele Piccardo with the contribute of Elisa R. Linn & Lennart Wolff. Photo credits Emanuele Piccardo
Pinksummer contemporary art, Genova

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Contemplare le rovine, per Marc Augè, significa fare esperienza del tempo, poiché esse sono temporali e testimoniano molti passati: “le rovine esistono attraverso lo sguardo che si posa su di esse. Ma fra i loro molteplici passati e la loro perduta funzionalità è possibile percepire un tempo al di fuori della storia cui l’individuo che le contempla è sensibile come se lo aiutasse a comprendere la durata che scorre con lui”.
Il termine “rovina” rimanda sia al deperimento e alla distruzione che può avvenire più o meno rapidamente e può essere originata da ragioni esterne o interne alla realtà, sia al risultato stesso della distruzione. La rovina può rappresentare un’occasione per ripercorrere a ritroso la strada già intrapresa in modo da recuperare le proprie radici o ritrovare la propria identità.

Il fascino delle rovine consiste nella capacità di alludere ad altro da sé indipendentemente dal modo in cui possano venir percepite, utilizzate o reimpiegate. La loro bellezza dipende dalla loro inafferabilità, ma il fascino che esercitano è dovuto anche al fatto che, nella rovina, l’opera dell’uomo viene assimilata all’opera compiuta dalla natura. Le rovine parlano, con un proprio linguaggio, capace non solo di suscitare nostalgia di un passato glorioso, ma capace anche di dare aiuto per affrontare il presente.

Dall’Alto Medioevo fino all’Eta Moderna, in Europa, le rovine di epoca greco-romana sono state le uniche ad essere conservate. Attraverso questi monumenti era possibile studiare e tentare di capire le ragioni del declino di Roma e dell’antichità. Ciò che restava di quelle tracce del tempo diventarono un grande paradigma della caducità dell’uomo e allo stesso tempo anche una possibilità di salvezza. Le rovine avevano il potere di risvegliare la fantasia ed evocare, tangibilmente, ciò che veniva descritto dagli autori classici, ma soprattutto cominciarono a suscitare ammirazione e bellezza, alla quale il mondo contemporaneo non era in grado di opporre nulla di paragonabile. L’antichità diventò in principio fonte d’ispirazione, d’emulazione e poi necessità di superamento del passato stesso. Per Piranesi, invece, le rovine rimandano all’eternità annunciando la profondità del tempo, ma allo stesso tempo cercano di nasconderla.

Il padre del romanticismo francese, François René de Chateaubriand, ricorda “che tutti gli uomini avvertono una segreta attrazione per le rovine, causata, probabilmente, dalla fragilità della natura umana, o meglio, dovuto «à une conformité secrète» tra i monumenti distrutti e la brevità della nostra esistenza”. L?emozione che le rovine producono è provocata dal senso di caducità che ispirano e da un sentimento nostalgico verso un?integrità originaria. Spesso le rovine, e non solo quelle archeologiche, provocano turbamento perché fanno riaffiorare ricordi tragici e dolorosi di distruzioni e morti, che pesano sulla coscienza di tutti.

La rovina in quanto derivato dell’architettura è quindi al tempo stesso funzione e simbolo. Questi due elementi in architettura sono indissolubilmente legati uno all’altro.
E il ponte, in quanto figura architettonica è stata, nella storia, così carica di significati metaforici. Esso non è soltanto quel manufatto che permette di superare un ostacolo, ma è un vero e proprio “simbolo”: una figura doppia, che riunisce in sé molti aspetti contrastanti. “Unisce e al tempo stesso divide”. È stabile, apparentemente, ma anche fragile e pericoloso; è sospeso tra due mondi. Il ponte può essere “isolato” e “abitato”, ma soprattutto può crollare.
Il ponte è strumento della conquista del mondo da parte dell’uomo e, allo stesso tempo, l’opera più sacrilega di tutte poiché intacca, oltre alla terra, anche l’acqua, l’elemento sacro per eccellenza in tutte le culture antiche.

Georg Simmel, in un saggio pubblicato circa un secolo fa, con il titolo Brücke und Tür (Ponte e porta), esordisce osservando che «soltanto l’essere umano di fronte alla natura possiede la capacità di unire e di dividere» e che dunque tutto, in natura, può apparirgli collegato oppure separato. Il ponte rimanda a ciò che l'uomo ha imparato a costruire per superare la condizione dolorosa e paralizzante di scissione e isolamento tra la dimensione interpersonale e dimensione intrapsichica. Il prevalere delle forze naturali su quelle spirituali trasforma la rovina in opera nuova. Il fascino della rovina sta nel fatto “che un’opera dell’uomo viene percepita in ultima analisi come un prodotto della natura”.
Il ruolo dell’immaginazione e della fantasia emerge con particolare risalto quando Simmel considera la struttura ed il fine del ponte: «Per noi esseri umani, e soltanto per noi, le sponde del fiume non sono semplicemente esterne, ma anche “separate”; e questo concetto di separazione non avrebbe alcun significato se non le avessimo prima collegate nei nostri pensieri rivolti a un fine, nei nostri bisogni e nella nostra fantasia». Perciò, «[...] un ponte viene sentito in un paesaggio come un elemento “pittoresco”; con esso, infatti, la contingenza del dato naturale viene elevata a un’unità di tipo completamente spirituale»

Il ponte acquisisce un valore estetico, anzitutto nel senso etimologico che correla aisthesis a “percezione”, non solo perché esso «nella fattualità e nella soddisfazione di fini pratici stabilisce un collegamento di ciò che è separato, ma anche perché lo rende immediatamente visibile». Quel che ci attrae delle rovine sta nella sovrapposizione di natura e cultura in modo che il passato che lì si ascolta non è più in grado di parlarci distintamente di sé. Sappiamo che esiste, ne abbiamo una vaga idea ed è sufficiente a rassicurarci. Anche quando il costruito è arrivato a noi in modo quasi integro è sempre una conservazione parziale in quanto è mutato l?universo culturale che lo ha originato.

Il fascino della rovina sta anche nella capacità di sfuggire al presente: “ le rovine sono, come l?arte, un invito a sentire il tempo”, riescono a sfuggire al “tempo reale” del mondo contemporaneo poiché risvegliano nell?osservatore la “coscienza della mancanza”: l?occhio osserva le rovine come se fossero un oggetto attuale ma, nello stesso tempo, la loro datazione incerta rende quasi impossibile un riferimento ad una epoca fissata nella memoria storica come immagine.

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Fonti:

M. Heidegger, Bauen, Wohnen und Danken, in Vortràge und Aufsàtze. Pfullingen 1954
F.R. de Chateaubriand, Génie du Christianisme, Flammarion, Paris, 1966
A. de Musset, La confession d'un enfant du siècle, Flammarion, Paris, 1916
Marc Augé, Rovine e macerie. Il senso del tempo, Torino, Bollati Boringhieri, 2004 p. 97, 4
George Simmel, Ponte e porta. Saggi di estetica, 2012
G. Simmel, “La rovina”, tr. it. di G. Carchia, Rivista di estetica, n° 8, anno XXI, Rosenberg & Sellier, Torino 1981, p.122
V. Gregotti, L'architettura nell'epoca dell'incessante, Laterza, Bari, 2006, p. 131
F. Purini, Relazione al progetto per la Riqualificazione Del Mausoleo Di Augusto E Di Piazza Augusto Imperatore
http://www.lundici.it/2016/06/il-fascino-pericoloso-del-ponte-2/
http://www.rivistapsicologianalitica.it/v2/PDF/6-2-1975-Psicologia_arte/2-75-cap2.pdf

Macchina per fare acquerelli e ponti, Ottone e fine arte print, 170x100cm (c.a)